Disma Bottega Artigiana ed Edera: l’artigianato che resiste

Questa non è una storia altisonante. Non ha luci stroboscopiche o immensi cartelli pubblicitari che attirano lo sguardo. Questa è una storia di vita, di lavoro e di maniche rimboccate. È una storia di persone, precisamente è la storia di “Disma”. Non si preoccupi però chi sta leggendo questo articolo, non parto dall’inizio della storia ovvero dagli ultimi anni del XVIII secolo, ma dalla fine.

Lo scorso 26 ottobre, infatti Leonardo Ugolini, anni 26, ha riaperto i battenti della bottega artigianale “Disma” a Firenze, dove si effettuano riparazioni di scarpe e non solo. “I’ ciabattino” direbbe Vasco Pratolini, che narrava alcune vicende di questo mestiere in “Cronache di poveri amanti”, “i’ ciabattino” diciamo anche noi, perché nobilitare queste arti, che rischiano di essere dimenticate, ci ricongiunge con le nostre radici e di conseguenza anche con il nostro futuro.

Ma insomma, ormai giustamente vorrete sapere chi era Disma, e ce lo facciamo raccontare direttamente da Leonardo. «Disma era il mio trisnonno – spiega – cioè il nonno della mia nonna che a fine ‘800 aprì questa bottega. Poi come vari negozi all’epoca si è tramandato di generazione in generazione fino ai miei nonni che ci hanno lavorato per una vita. Mio nonno riparava le scarpe, mia nonna le vendeva e così hanno fatto per tutta la vita».

Poi come per tante attività artigianali sono arrivate le difficoltà di un mondo che vira sempre di più verso i centri commerciali e di un quartiere di periferia come quello di Brozzi, che è andato impoverendosi di vitalità economica e sociale. «Otto anni fa – prosegue Leonardo – la bottega venne chiusa, sia per l’anzianità dei miei nonni, sia perché io dovevo ancora fare esperienza».

Lungo è infatti stato il suo percorso per apprendere il mestiere. «Dopo un diploma da geometra, ho capito che questa era la mia passione. Ho lavorato per un anno e mezzo in bottega da mio zio, che fa scarpe su misura di altissimo livello e lì ho imparato ad amare la vita di bottega». Ho poi proseguito lavorando da Stefano Bemer, uno fra i migliori artigiani al mondo, e infine è arrivato Ferragamo, dove ho lavorato per due anni e mezzo sempre nel mondo delle scarpe, fino ad ora. Fino a Disma».

Non è stato facile però riattivare il negozio, dopo tanto tempo che è rimasto chiuso. «Dopo 8 anni era tutto da rifare – dice -. Partendo dall’intonaco fino agli impianti elettrici. Soprattutto il grande investimento è stato nel macchinario necessario per le riparazioni e nell’arredo, con bancone e vetrine». Una scommessa a tutti gli effetti, diremo noi, ma non per lui. «È una scommessa fino ad un certo punto – precisa – . Primo dietro le quinte c’è ancora mio nonno che mi aiuta tantissimo nel lavoro e poi perché, se ci pensi bene, i riparatori ormai sono veramente pochi, mentre gente che punta ancora sulla qualità del prodotto c’è».

Ecco, la qualità del prodotto è un argomento che Leonardo tiene a sottolineare: «Se prendiamo il materiale, le lavorazioni che ci sono dietro, la cura nella realizzazione, comprare delle scarpe di qualità è sempre una buona scelta. Tra l’altro, adesso che giustamente è stata posta molta attenzione sul tema dell’inquinamento di voglio dire una cosa. Prova a mettere sotto terra un paio di scarpe come quelle che fa mio zio in bottega e un paio della grande distribuzione. Se dopo due anni le vai a dissotterrare vedi che le mie sono diventate terriccio, le altre essendo spesso e volentieri di materiali plastici saranno sempre lì».

Un obiettivo futuro è anche quello di cominciare a fare scarpe. «Vorrei cominciare a fare scarpe da zero – continua Leonardo – cercando di incontrare un target anche da giovani con un modello che riesca a stare in bilico fra l’elegante e lo sportivo». Ma non solo questo vede nel suo futuro: «Un sogno ancora più grande è quello di mettere in piedi un vero e proprio laboratorio dove poter mostrare il lavoro di un artigiano e il valore della manualità».

Una questione con cui fare i conti, appena accennata di sopra, però è la situazione di svuotamento commerciale che stanno vivendo alcune periferie, come quella di Brozzi. «Quando mi sono messo in testa di riaprire la bottega mi sono fatto forza anche pensando di lanciare un messaggio di coraggio per rivitalizzare questi posti. Una bottega sulla strada fa luce, fa colore. La gente si ferma, si crea di nuovo movimento e passaggio, ma per fare questo c’è bisogno di un’attività come la mia e come molte altre. Non possiamo pensare che la gente passeggi per le strade se sono deserte».

La collettività, questo è il valore che suda da queste parole. La collettività che diventa ancora più importante, se parliamo delle strade nelle quali siamo nati e cresciuti e che hanno bisogno di giovani come Leonardo per rinnovarsi e reinventarsi. Firenze non è solo la cupola del Brunelleschi o il Ponte Vecchio. Firenze è di chi la vive, di chi la abita e di chi la mantiene giorno per giorno. Da vis dei Calzaiuoli alla rotonda di San Donnino, non fa differenza. Firenze sono alle sue persone e le sue botteghe. Firenze è artigianale. Come la carta che state toccando o come una scarpa ricamata a mano.

E allora in bocca al lupo Disma.

di Simone Andreoli

Edera 32, gennaio 2020

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